• 1978 - Intervento presso la Galleria Ferrari di Verona

ANTONIO SCACCABAROZZI

Testo di ALBERTO VECA

Foto - DANTE SPINOTTI

 

     Questa pubblicazione documenta in parte un intervento che Antonio Scaccabarozzi ha effettuato nelle sale della galleria Ferrari di Verona nel gennaio scorso. Come ogni materiale fotografico che riproduca un campo tridimensionale anche questa raccolta di immagini ha più che altro la funzione di indicare il metodo di lavoro usato più che tentare di descrivere i vari momenti dell'intervento irrimediabilmente legati allo spazio e al tempo reali.

   Ma forse nel caso presente il passaggio dalla realtà alla riproduzione non è cosi dannoso come può esserlo per altri casi di lavori sull'ambiente: il 'discorso' fotografico, la sequenza delle immagini infatti sono una lettura degli interventi che Scaccabarozzi ha effettuato; una angolazione diversa delle riprese, un'altezza diversa della macchina fotografica avrebbero colto situazioni diverse, nuove. La scelta che è stata fatta è allora arbitraria ma esauriente del modo di concepire lo spazio e un intervento su esso.

   E in effetti per Scaccabarozzi i due momenti, quello della percezione e della conoscenza dello spazio e quello dell'intervento espressivo su esso, coincidono, consistendo l'espressività nella determinazione di un metodo di indagine.

   A secondo che si tratti di un campo bidimensionale o di un campo tridimensionale evidentemente le attività di conoscenza si modifica- no; anche se Scaccabarozzi ha sempre usato - ma il termine è improrio perché ormai impreciso - la tridimensionalità,si può dire che in ogni caso esiste una diversità quando lo spettato.re considera una situazione 'oggettuale', nel quale cioè viene coinvolto in misura limitata e quando invece lo spettatore è coinvolto globalmente all'interno dell' ambiente e quindi le dimensioni dell' intervento superano il campo visivo dello spettatore.

   La diversità della percezione oggettuale e della percezione ambientale aumenta la possibilità di intervento, la gamma delle variazioni che vengono messe in opera, ma non intacca o modifica il procedere della ricerca chep appunto, si basa sull'analisi del modo in cui avviene la conoscenza dello spazio. E' proprio in questa prospettiva che Scaccabarozzi opera distinguendo due momenti essenziali nel la comprensione dello spazio: una intellegibilità di indicazioni elementari (i punti) e del loro disporsi orizzontalmente e/o verticalmente, una cultura acquisita si potrebbe dire quasi una memoria dei punti stessi, delle loro dimensioni e della loro spaziatura e infine un giudizio, una verifica fra quanto abbiamo visto e quanto abbiamo immaginato, presunto. Memoria, percezione e quindi anche illusione, e giudizio, correzione sono i tre momenti della conoscenza dello spazio che Scaccabarozi vuole sottolineare. In un discorso logico, di analisi, questi tre momenti sono indicati come divisi ma in realtà sono contemporanei o quasi nell'atto reale.

   L'uniformità dell'intervento, come scelta dell'immagine singola e della sua sintassi, appare contemporaneamente alla percezione dell’uniformità del diverso - quando punti di diversa dimensione ci appaiono della medesima grandezza in quanto posti a diverse distanze da noi - o alla diversità dell'eguale - quando all'inverso varia no le distanze e le dimensioni dei punti rimangono invariate.

   Può sembrare, detto a parole, un gioco di alchimia, o un cerebralismo estenuato: in realtà procedere per minime variazioni vuol dire discutere i problemi della visione e della comunicazione alla radice e non in maniera grossolana. La minima variazione, delle dimensioni dei punti e delle distanze fra punti, permette ancora una sua scoperta per così dire spontanea in quanto richiede, da parte dell'osservatore, spostamenti e attenzione relativamente semplici. Non si tratta cioè di una scoperta dell'intenzione comunicativa, basata su regole da laboratorio, o sull' artificio di un atteggiamento precedentemente concordato: chi guarda, cammina e si sposta cogliendo prima di tutto una indicazione di uniformità, correggendo in un secondo momento, senza sforzi eccessivi o istruzioni da leggere, la prima impressione con la scoperta di differenze, tentando infine di legare la prima alla seconda lettura, e quindi di capire il principio ordinatore e le varie esperienze che sono state scelte come argomento dell'operazione.

   Per questo motivo all'inizio si parlava, per la ricerca nel suo complesso, di indifferenza fra dimensione dell'oggetto e dimensione del l'ambiente, o fra tridimensione e bidimensione: a Scaccabarozzi interessa lo spazio risultante fra punto e punto, o meglio la relazione che esiste fra la presenza di una indicazione e la sua assenza nel campo visivo. E parlo di indicazione perché il riferimento geometrico al punto ha solo valore strumentale in quanto figura funzionalmente adatta a assolvere un compito di riferimento a un sistema di immagine in cui l'immagine ha perso la sua caratteristica di positivo nei confronti di uno sfondo negativo. Così come diventa determinante l'attività dello spettatore la cui presenza attiva, i modi e i gradi con cui si avvicina all'operazione, finiscono con l'attivare un processo di conoscenza dell'immagine che supera le stesse indicazioni fornite inizialmente. dal momento che queste ultime sono casi, esempi di un processo che può prendere in esame gli aspetti più svariati della conoscenza dello spazio.

   In questo senso una ricerca come quella di Scaccabarozzi non può essere catalogata in una corrente precisa, almeno dal punto di vista di un antiquato ma sempre funzionante concetto di stile, quanto fra chi appunto preferisce una identità di metodo e paragonarsi su esso come ricerca di un ruolo.

 

Milano, febbraio 1978

Alberto Veca

 

 

MISURA REALE - MISURA VISIVA

   Questa continuità orizzontale di misurazione operata sulle superfici della galleria Ferrari, è concepita in tre modi diversi e suddivisa in: a) Sala d'accesso della galleria; b) Sala attigua; c) pilastro. La misura costante di altezza su tutte le pareti dove sono disposti i punti nel senso orizzontale è di mm.161,5 che corrisponde all'altezza del mio occhio. I punti sono adesivi e dipinti di nero. Il primo lavoro (a) è  caratterizzato dagli angoli delle pareti (anche se uno di essi risulta poco leggibile date le rientranze dei muri e le interruzioni ) e dal cambiamento di distanza da un punto all'altro, che avviene a ogni angolo nella misura di cm. 2-12-72.
Inoltre il diametro dei punti aumenta da un minimo dal primo angolo a un massimo.

   Il secondo lavoro (b) si forma tenendo conto di cinque pareti e ed su ognuna di loro che avviene il cambiamento di distanza fra i punti, nella misura di cm. 2-6-18-54-162. Il diametro dei punti in questo caso è tenuto invariato.

   Il terzo lavoro (c) si svolge su un pilastro a base quadrata situato nella seconda sala. I punti seguono ovviamente i quattro lati e sono distanziati nell'ordine di cm. 2-4-8-16 e il diametro è tenuto invariato anche in questo caso, dato appunto l'ubicazione del pilastro che dovrebbe fungere da sospensione spaziale.

   L'intenzionalità di questo lavoro, come del resto in tutti i lavori precedenti, è quella di sperimentarne i risultati. Vale a dire prendere in considerazione i dati preesistenti in galleria come la qualità delle pareti, la loro percorribilità, il colore, le altezze, lo spazio-distanza di ogni punto di vista, ecc., e operare con altri dati (punti, colore, grandezze, disposizione, distanze fra punti) stabiliti secondo un criterio metodologico che sappiano però, in base a caratteristiche precise e attraverso il discorso di fondo, scatenare delle situazioni inattese che non siano scontate a priori dall'applicazione del metodo, ma che anzi lo rendano meno evidente aprendo a un campo più vasto di indagine.

 

Antonio Scaccabarozzi

  

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