Misurare la Quantità, e no
1.
Antonio Scaccabarozzi inizia a lavorare sulle misurazioni nel 1979. Data non casuale. Proprio quell'anno si conclude l'esperienza allo Studio Casati, durata un solo decennio prima ad Osnago e poi a Merate, in piena provincia lombarda dove le famiglie perbene trascorrevano le vacenze. Con Scaccabarozzi, solo per fare qualche nome, anche Gianni Colombo, Grazia Varisco e Tornquist sono riuniti dall'intuizione di Antonio e Giorgio di creare un centro d'arte lontano dalle sirene cittadine.
Nel 1979, l'euforia che aveva condotto gran parte degli artisti nell'allontanamento e in qualche caso disconoscimento delle radici, del retaggio della storia dell'arte, si va esaurendo, e il "pittore dei puntini" riprende in mano la questione del dipingere. Non si trova più la sola struttura del quadro nella sua opera: la pittura e suoi materiali tornano in primo piano. Infatti, anzichè fuggire dalla "Brianza velenosa", Scaccabarozzi si insedia ai piedi del monte che ospita il Santuario della Beata Vergine del Carmelo, la piccola chiesa barocca di Montevecchia, non lontano da Merate. Un luogo che lo riporta agli Appennini vissuti durante l'infanzia, al tradizionalissimo zio pittore che per primo lo ha affascinato avvicinandolo a tela e pennelli.
L'esperienza delle quantità si conclude negli anni '90, nuovi materiali nuove soluzioni pittoriche entrano nella valigia del pittore; il polietilene, le griglie, le velature rinnovano il linguaggio di Scaccabarozzi senza condurlo a incomprensibili mutazioni.
2.
Il titolo di un'opera, o di una serie di opere, non è mai banale o secondario, in special modo se l'opera in questione è inserita all'interno del sottoinsieme "pittura concettuale", campo d'azione nel quale si incontrano i secolari antipodi di idea e sostanza. Tra gli elementi che compongono l'opera, il titolo rappresenta più che mai il componente concettuale rispetto alla tela, al pigmento, al polietilene e quant'altro.
Il processo è semplice: il pensiero dell'artista che prende forma in una parola che si ri-trasforma in pensiero, probabilmente altro, nello spettatore. Dunque, l'artista e la sua opera parlano direttamente allo spettatore grazie a una targhettina, generalmente scialba e dal carattere troppo piccolo per essere facilmente comprensibile. Naturalmente ci sono molti artisti che decidono consapevolmente di non sfruttare la mediazione del titolo, ma per Antonio Scaccabarozzi, il titolo ha un suo preciso ruolo e valore: quello di indizio.
In un'intervista del 2006 alla domanda di Natascia Rouchota "cosa diresti a qualcuno per aiutarlo a capire la tua opera?" Scaccabarozzi risponde "direi di seguire il procedimento usuale di fronte a un oggetto d'arte. Quello di capire e dare senso a ciò che vediamo, attraverso una lettura attenta, raccogliendo più dati possibili, anche quelli apparentemente banali come: il titolo, la data, le dimensioni, il materiale usato, come è stato usato, perchè, ecc. Tutte queste informazioni che l'opera concede alla lettura, danno già un quadro significativo del pensiero dell'artista, che indica a quali livelli ci vuole portare." Inoltre, scorrendo i suoi scritti datati 2001 incappiamo in Curiosità. Titoli delle opere che vanno dal 1956 al 2001. Quantità in rosso fa la sua apparizione a due terzi dell'elenco, situandosi fra Comunque adesso rosa e Proprio adesso giallo, in quest'istante... concedendo molta attenzione al colore che diventa il soggetto dell'opera, sostituendo l'azione o la struttura.
Leggendo questo il titolo di questa serie, Quantità, che cosa scopriamo? Cose ovvie? per niente. Innanzi tutto occorre farsi la domanda di partenza giusta: che cos'è una quantità?
Quantità, dal latino quantus - quanto, quanto grande - è la condizione per cui un ente concreto o astratto può essere misurato, quindi la sua grandezza espressa anche in termini numerici; senza determinazione, con uso assoluto, esprime una quantità notevole. Scaccabarozzi procede ad investigare entrambe le possibilità producendo Quantità misurate e Quantità libere, definizioni solo apparentemente in contraddizione.
Le Quantità (1979-1994), nel loro complesso, non appaiono all'improvviso come un lampo di luce nella notte tetra, senza nemmeno un tuono ad annunciarlo. No. Scaccabarozzi ci arrivare per gradi, lavorando sulla tecnica, per esempio le Iniezioni si spiegano come "iniezioni endotela di quantità definite di colore od altri elementi".
Le Quantità misurate (1980 -1984) si presentano come enne dosi di colore applicate su di una superficie di materiale variabile; ogni dose ha forma diversa, è stata pesata e riporta i grammi che la caratterizzano. È divertente notare come le forme ingannino lo spettatore: a dosi "ciccione" corrisponde lo stesso peso di stesure molto sottili.
Le Quantità libere (1982 - 1990), invece, sono ampie stesure di colore apparentemente arbitrarie; l'inganno in pittura è fondamentale. Si crede libero ciò che è dichiarato libero e in realtà che non lo è. Il titolo da sostegno si fa ostacolo. Qui, ogni stesura è realizzata con un pigmento che è stato modificato rispetto alla sua natura di partenza, quella del barattolo, ed è sovrapposto ad altri colori più o meno forti, che lo mutano ulteriormente.
Scaccabarozzi da bravo pittore qual è piega la pittura ai suoi scopi e passa licenziosamente dalla materica alla velata, senza colpo ferire. L'opera è un organismo vivo in continuo divenire, alla cui comprensione siamo assistiti, quasi accompagnati mano nella mano dal titolo. Non è però scontato che il mistero scompaia: titoli come Non prima forse dopo comunque adesso creano come un cortocircuito mentale per quanto poetici essi siano, ed entrano in gioco altri elementi - data, misure, materiali, etc. La data può confondere se l'opera non si conforma al momento storico o se le dimensioni sono bizzarre, l'unica certezza è il materiale.
Misurazioni e Quantità. Quantità e Misurazioni. La tentazione all'interscambio e conseguente appiattimento è forte. Le Misurazioni sono il seme, le Quantità la pianta, il Polietilene il fiore - ma questa è un'altra storia, futura. Emblematiche, perchè apripista, di questa serie sono le Iniezioni e di nuovo ci vengono in aiuto le parole dell'artista, a proposito dell'opera Iniezione endotela (1980): "essa tratta la misura paradossalmente in unità di volume, consistendo nell'iniezione della tela di quantità di colore diluito, che per assorbimento si trasforma in superficie. Altro paradosso è quello della misura-volume messa in crisi dal risultato visivo. Ad esempio, poniamo di iniettare 25 cm cubi di colore nella tela con una sola iniezione, ne risulterà una quantità di colore. Iniettiamo ora l'equivalente in misura, 25 volte 1 cm cubo. Il risultato che avremo ottenuto visivamente non risulterà equivalente come ci aspettavamo". Tra le quantità misurate troviamo anche Una condizione particolare, mano sinistra (1979) che è interamente scritta anzichè dipinta o iniettata o immersa. Restando nel dominio della grafia intercettiamo Misura/distanza (Peso) una quantità di matita pesata: 0,75 grammi di mina blu ritmicamente strofinata su tavola.
Se la pittura consiste essenzialmente nell'atto di stendere colore, essendo caduta la necessità del disegno, il colore è pittura pura, che sia in forma di massa o velatura; ma se la pittura è pura il colore non lo è mai. Che si tratti di smalto o acrilico o vinile il colore steso su tele e tavole non è mai quello acquistato in negozio, una noce di grigio viene sempre aggiunta ai blu, ai rossi, ai gialli, e così via, e questo provoca un cambiamento di luminosità e saturazione, ulteriormente deviato dalla superficie di base mai lasciata nel suo stato originale bianco, spesso abbagliante. I fogli dei quotidiani, Quantità in muta (1987), con la loro carta che ingiallisce nel tempo e l'inchiostro che detta con pieni e vuoti il ritmo dell'osservazione, fa inciampare l'occhio su una macchia d'ombra improvvisa, e trasfigura la quantità di colore in un altro elemento - acqua, vetro, stoffa - semitrasparente. Il potere illusionistico della pittura! Il materiale può anche prescindere dal supporto: Essenziale (1992) costituito di acrilico e mastice è un'opera in cui il colore è supporto di se stesso. Il colore è il signore della pittura, sovrano assoluto di se stesso, ultimo superstite di una lunga spoliazione dell'accessorio prima e della struttura poi, come se di un corpo restasse solo il cuore ancora pulsante, ancora vivo! ma isolato.
Colore, cuore della pittura perchè sensibile e concreto.
3.
Titolo e materiale sono due componenti fondamentali ai quali manca i/il perchè dell'artista. E si apre un mondo di congetture più o meno filosofiche. L'unica grande verità sulla pittura concettuale è che non c'è verità -intesa come dogma, o regola di sapore monastico. Multiforme com'è il pensiero dell'uomo: quello dello spettatore non è mai fatalmente concorde con quello dell'artista, a meno di trovarci nel paradosso in cui l'artista è spettatore di se stesso. Dichiarazioni, interviste, scritti prodotti dall'artista ci indirizzano e al tempo stesso ingannano, illudendoci di raggiungere la totale comprensione. Qualcuno potrebbe dire che sarebbe meglio se gli artisti tacessero e lasciassero parlare le opere, e in realtà quel qualcuno vorrebbe poter dire: tacete, e fate parlare i critici.
La comprensione appartiene al tempo, e non è nemmeno detto che arrivi. Possiamo apprezzare l'opera con i nostri occhi e sentimenti perchè, senza quelli dell'autore, da più di cento anni è possibile. L'opera che si conclude nello spettatore, mito romantico mai tramontato. E il tempo resta fondamentale, anche se Scaccabarozzi non ti porge un rebus da risolvere al pari di un polittico medievale. La ricezione, l'emozione, è molto più immediata, e quindi più sconcertante.
L'atteggiamento contemplativo richiesto dai miti dell'artista meratese, Leonardo e Picasso, e dagli spiriti affini quali Mondrian e Rothko, non può venir meno di fronte alle Quantità. Del resto anche i titoli che gli sono stati dedicati negli anni sottolineano questo atteggiamento: Il peso di un'immagine 2007, Il raro suono del silenzio 2010, L'emozione del metodo 2012, Introduzione al vuoto 2015.
Peso, suono/silenzio, emozione, metodo, vuoto sono solo alcuni degli innumerevoli aggettivi che si potrebbero inanellare per cercare di descrivere l'opera di Scaccabarozzi, e in qualche modo anche di carpirla. Sono gli atteggiamenti necessari alla contemplazione, di norma religiosa. E l'arte non è forse una forma di religione? Definire Antonio l'ultimo dei mistici è forse eccessivo ma opere come 4 velatura su fondo giallo (2005) richiamano inevitabilmente quel mondo. Come Rothko, avrebbe potuto tranquillamente realizzare una cappella.
Le riflessioni di Antonio Scaccabarozzi diventano le nostre riflessioni. Il suo peso, il nostro peso; la sua emozione, la nostra emozione; i suoi perchè, i nostri perchè. E non saranno mai conformi, mai consimili. Ed è un po' questo il bello dell'arte. Della sua, nostra, arte.
Veronica Benetello