Può essere una contraddizione operare un intervento in una galleria (Il centro Gallignano Arte) il giorno dopo aver proposto una mostra in un'altra galleria (Il Falconiere). Ma una contraddizione feconda per cui l'assolutismo delle scelte viene stemperato e senz'altro superato dall'apparente giustapposizione di due opposti metodi di lavoro. La mostra dei tre artisti esponeva le rispettive opere, i cui rispettivi contenuti si incontravano grazie alla contemporaneità dell'esposizione.
Gli interventi operati subito dopo nella galleria di Gallignano hanno voluto chiarire il senso della confluenza tra le opere dei tre artisti, e portare all'estremo il significato della contrapposizione tra artista e artista, tra opera e intervento, tra i valori espressi in ognuna di essi. Nello spazio di Gallignano le superfici strutturate dai 'punti' di Scaccabarozzi si fanno di vetro e si concludono solo all'esterno di se stesse: l'osservatore guarda attraverso la superficie di vetro su cui sono disposti i punti, neri e di diverse dimensioni, per fermare lo sguardo solo su dei punti posti su una parete della galleria o su un muro esterno alla galleria: la relatività dimensionale, il gioco delle 'false prevalenze' viene spostato su un piano dinamico rispetto al quadro che al confronto assume un valore di staticità: l'occhio non si sposta solo entro il campo bidimensionale ma spazia nelle tre dimensioni: la relatività della percezione è data dalla disposizione di tre punti, uno dei quali posto su una superficie di vetro, gli altri due - diversi nelle dimensioni tra di loro e più grandi del punto sul vetro che serve come da mirino - dipinti su un muro a qualche decina di metri di distanza; l'osservatore può far coincidere alternativamente il punto-mirino con uno dei punti sul muro a seconda della distanza che pone tra sè e il vetro.
Che non è la realtà a possedere forme e dimensioni, lo capiamo non più guardando fermi un quadro e operando un'astrazione mentale per avvicinarci al senso dell'opera, ma spostandoci fisicamente, con un'esperienza quindi diretta, mediata solo dall'esperimento empirico, quello stesso avversato da tanto razionalismo di classe e di potere, talmente debole ormai che sa rispondere solo con la sua biliosa e prepotente sclerosi.
Lo 'specifico artistico' quindi espone la sua critica, collegandosi direttamente col mondo dell'ideologia senza avvalersi di mediazioni estrinseche, legittime ma non necessarie all'opera.
Questo valore si esprime nell'opera di Minoli come deragliamento rispetto a una concezione del colore assoluta e univoca. La mostra di Minoli presenta sequenze di superfici in cui le proporzioni tra i tre colori fondamentali vengono via via modificate fino a trasformare completamente la forma della superficie di partenza. A queste sequenze, distinte tra di loro e concluse in sè, si contrappongono quelle presentate nella galleria di Gallignano, in cui una sequenza rimanda all'altra senza soluzione di continuità: dell'esperimento non viene presentato l'ultimo stadio, l'unica possibilità di strutturazione dei colori, ma ciò che dell'opera rimane di solito dimenticato o al massimo registrato come memoria per un ulteriore lavoro. Il procedimento viene messo ulteriormente a nudo: non è solo la sequenza che rivela un metodo di analisi ma lo scontro delle sequenze, l'esperimento che racchiude in sè una soluzione momentaneamente sospesa; il blu, il rosso il giallo continuano a contrapporsi creando diverse forme anche fuori dell'opera, nella virtualità precedente o posteriore all'opera, al di qua di ogni risultato e di ogni esecuzione, dentro tutte le esecuzioni possibili.
La mostra di Frascà presenta assieme al Kubus e al doppio Kubus un 'parallelepipedo' riconoscibile come tale solo dal virtuale o inconscio rimando mnemonico alla figura nota. In realtà è la bidimensione del solido che invade la sua tridimensionalità, la deforma, imponendogli la sua forma, modificando il risultato della percezione. Nell'intervento dello stesso autore a Gallignano, i due termini contrapposti dell'atto percettivo non sono più soggetto-fruitore e oggetto-opera ma sembrano entrambi rappresentati nell'opera stessa, come se la si incaricasse di farsi simbolo e polo opposto di se stessa. Dall'angolo tra una parete e il pavimento partono in diagonale rispetto a due virtuali ortogonali evidenziate con un filo, due profilati di alluminio. Mentre l'immaginabile movimento di coincidenza reciproca delle due ortogonali ci induce ad applicare la stessa forma alle diagonali, in realtà queste mostrano di possedere un numero indeterminato di movimenti possibili, contenuti nell'arco dei 1800 procurati dall'incontro della parete col pavimento. L'opera sembra così la rappresentazione stessa dell'atto percettivo: dalle ortogonali come è stato sempre considerato - un movimento speculare e unilaterale, contemplativo e statico, tra un soggetto e un oggetto - dalle diagonali nella contrapposizione a tale concezione - l'atto percettivo, e conoscitivo, è il risultato dell'incontro di due termini dinamici che modificandosi provocano una molteplicità di possibili incontri. Questo Narciso non si compiace più della sua immagine venerandola come più reale della sua stessa realtà, ma si cerca, e si perde, trovandosi in mille posti e in nessuno; non contempla più se non il margine tra le sue immagini possibili, tutte vere e irreali allo stesso modo. Se con l'opera veniva messa in discussione la specularità tra immagine visiva e immagine mentale, con l'intervento si contrappone immagine a immagine, fenomeno a fenomeno; la specularità diventa un gioco di specchi che non approda mai a una conclusione definitiva. Dall'opera all'intervento, si evidenzia un metodo di comunicazione che tende a eliminare il momento verbale come mezzo didattico; l'opera - intesa come l'insieme delle operazioni - crea da sola una struttura di segni che bastano a comunicare un'intenzione sempre ed essenzialmente critica ed eversiva.
La didattica non si identifica più con una somma di contenuti, o codici o informazioni, ma con l'essenza stessa della comunicazione, l'appropriazione degli strumenti costitutivi di ogni codice.
Lo dimostra l'uso del mezzo di lavoro ridotto ai soli significati, e alla loro elementare opposizione reciproca, si direbbe con lo scopo di 'opporsi all'assenza di significato senza comportare un significato particolare' o di 'creare un senso con nulla' (Cfr. R. BARTHES - Elementi di Semiologia, Einaudi 66, p. 69) e questo senso consiste proprio in un nulla pieno e dinamico, in quanto confine tra sensi opposti.
Ne è una prova il rifiuto di investire di simboli gli strumenti di lavoro, ciò che comporta il rifiuto del loro valore connotativo o di 'parole'. Ancora una prova è costituita dalla scelta di operare in tre, che annulla ogni valore simbolico che scaturirebbe comunque da ogni singolo autore, se non altro sotto forma di 'stile'; il colore, il punto, la figura geometrica perdono nel confronto reciproco le loro connotazioni tradizionali.
Da sola ogni opera non avrebbe espresso lo stesso concetto di mutevolezza di ogni norma, legge, struttura; ogni rischio di ricostituire l' “unicità” del legame artista-opera, e di ridare una nuova 'aura' all'arte, viene sventato dalla pluralità e dalla diversificazione dialettica degli stili; e si crea attraverso questa apparente entropia la massima ricchezza di sensi. Ci si avvicina dunque a queste opere con un procedimento di progressiva liberazione da elementi che da necessari si fanno ridondanti, per cui l'opera - e l'arte - viene coma smascherata, ridotta allo scheletro e al modello di se stessa, che proprio come tale indica l'unica forma accettabile di insegnamento: l'educazione alla critica, intesa come capacità di creare differenze, di porre distinzioni, di spezzare il continuum di 'indifferenza' e staticità.
La differenza non viene ipostatizzata come struttura appartenente al reale, ma scelta come l'ipotesi che offre la massima comunicatività: essa diventa il valore archetipico del maggior numero di comunicazioni; l'opera non è più un codice che si impone nè che si propone all'osservatore, ma ciò che sostiene tutti i codici, forza non schematizzata ma capace di creare ogni schema.
Il massimo valore didattico dell'arte coincide con la sua storicità (contrapposizione-continuità col passato) che si esprime in modo specifico nel/a temporalità data dalla concatenazione delle sequenze, scientificamente rigorosa (a un presupposto segue una sola conclusione) e non arbitraria: il segno cambia ma non è intercambiabile, contrapposto ai precedenti non giustapposto. E il risultato scaturisce da una specie di prova di commutazione tra i segni, prova che può essere un modo di guardare l'opera ma anche il suo fine: la posizione del rosso nelle superfici di Minoli è frutto di una selezione di possibilità, diventa figura e/o fondo solo dopo che gli altri due colori lo evidenzino come tale.
Le due diagonali stabiliscono la loro relazione solo dopo essere state messe a confronto con le ortogonali. II punto più piccolo prevale in tridimensione sul grande solo dopo aver definito il grande e il piccolo tali in bidimensione. La virtualità, la temporalità, la storia, l'inconscio convergono come fondamento necessario all'opera, anche se come elementi non sopraffattori e condizionanti ma da mettere in discussione o a nudo attraverso un'analisi che sfuggendo definitivamente alle suggestioni del nuovo, tende alla precisione della scienza e allo scopo eversivo che la scienza ha o dovrebbe avere.
Cercare la base di ogni codice è un'operazione speculativa nel senso socratico: scoprire ciò che esiste già, recuperare le potenzialità comuni relegate a livello inconscio.
Operazione che diventa mezzo per produrre idee nuove in quanto rispondenti ai mutamenti storici e siano in grado di spiegarli, tendano quindi alla sovversione della concezione della realtà (e non più alla sua mera interpretazione) nel senso marxiano.
L'opera si pone ancora come ponte tra momento speculativo e momento attivo, tra conoscenza e trasformazione, attraverso un metodo di ribaltamento che richiama il migliore Adorno: “ Oggettivo è l'aspetto non controverso del fenomeno, il clichè accettato senza discutere, la facciata composta di dati classificati: e cioè il soggettivo; e soggettivo è di ciò che spezza quella facciata, ciò che penetra nella specifica esperienza dell'oggetto, si libera dei pregiudizi convenuti …e cioè l’oggettivo” (da Minima Moralia).
Brunella Antomarini
GALLIGNANO E' UNA MINUSCOLA FRAZIONE D'ANCONA ARROCCATA IN SPLENDIDA POSIZIONE SUI PRIMI RILIEVI DELL'ENTRO TERRA TRA MONTESICURO ED AGUGLIANO. DEL CENTRO GALLIGNANO ARTE FANNO PARTE TUTTI I CINOUECENTOTRENTAOUATTRO COMPONENTI DELLA COMUNITA'. IL CENTRO SI RIPROMETTE DI EFFETTUARE UNA SERIE PROGRAMMATA A LUNGA SCADENZA DI MOSTRE DIBATTITI CONFERENZE MANIFESTAZIONI TEATRALI DIALETTALI MUSICALI E RECUPERI DI TRADIZIONI POPOLARI. TUTTO PER LO SVILUPPO CULTURALE DELLA COMUNITA' MA SOPRATTUTTO PER CREARE UN DIALOGO CON IL MONDO DELL'ARTE APERTO AD OGNI PROPOSTA E DISCUSSIONE. IL CENTRO GALLIGNANO ARTE SI RIPROMETTE ALTRESI' DI OSPITARE A STRETTO CONTATTO CON LE FAMIGLIE ADDIRITTURA IN FAMIGLIA AL PROPRIO TAVOLO NELLE PROPRIE CASE OPERATORI ARTISTICI E CRITICI PER UN ARRICCHIMENTO RECIPROCO. COME LUOGO ESPOSITIVO E' STATO CONCESSO L'USO DI UNA CHIESA RESA INAGIBILE DA VARIE TRAVERSIE TERREMOTI E BOMBARDAMENTI CHE TUTTA LA COMUNITA' HA RESTAURATO.